E' di nuovo on the road uno storico trombettista, l'uomo
che anni fa ha rinnovato il jazz made in Italy
inventando uno stile che ancora oggi è rimasto "il suo".

Amico di Sonny Rollins, Dizzy Gillespie.
Miles Davis  e tanti altri grandi
musicisti,  considera il jazz
una musica che viene
dal cielo, nella quale
è fondamentale mettere poche note e poco virtuosismo
e una grande dose di  fantasia e amore

Nunzio, uno stile Rotondo
fatto soprattutto di poesia


Nunzio Rotondo in scena, durante uno dei suoi concerti romani



«Il jazz è amore, è una musica che viene dal cielo, e l’importante è metterci dentro il cuore, suonare poche note ma con poesia. C’è gente che parla tanto e non ti fa capire niente e c’è gente che con quattro parole ti spiega tutto: ecco, questa è la nostra musica, e suonarla è una delle cose più piacevoli che esistano»: Nunzio Rotondo, uno dei più grandi trombettisti italiani, la pensa così e da qualche tempo, dopo anni e anni di assenza dalla scena romana, è tornato finalmente in concerto nella sua città.
Lo fa tutte le settimane all'Alpheus (065747826) in una serie di appuntamenti che il mercoledì lo vedono sul palco con il suo quintetto (Enzo Scoppa al sax tenore, Claudio Colasazza al pianoforte, Francesco Puglisi al basso e Amedeo Ariano alla batteria) alternarsi ad altre formazioni che, per contrasto, suonano un jazz divertente e scorrevole, da The Great Erratic Swing Orchestra alle Boop! Sisters, da Les Hot Swing  a varie altre band.
Sentirlo  è un vero piacere:  anche se il tempo è passato è elegante, essenziale, e suona  esattamente come trent’anni fa perché  è riuscito a conservare intatte le sue qualità, dal suono morbido e inconfondibile a un modo di improvvisare che punta sulla fantasia e la poesia.
Che ha fatto Rotondo in questi anni? «Non ho mai smesso di suonare, ma l’ho fatto soprattutto fuori Roma, dove i piccoli comuni sostengono e aiutano il jazz, quel jazz che va fatto conoscere ai ragazzi per fargli amare la buona musica».
E sul buon jazz Nunzio ha le idee molto chiare: «I torrenti di note non servono a niente, molti puntano sulla tecnica, ma bastano quattro note di Chet Baker, Dizzy Gillespie o Sonny Rollins per far dimenticare le 100 mila note di tanti cosiddetti virtuosi. Un musicista canta la sua poesia, il punto è solo questo, e la poesia o ce l’hai o no».
Molto tempo fa a Nunzio capitò di  partecipare come ospite a un concerto della big band di Duke Ellington. Alla fine della serata Duke lo chiamò dietro le quinte e gli disse: «Ma lo sai che suoni come un negro?». « «Non riuscii a rispondergli per un paio di minuti - ricorda il musicista. - Era il complimento più bello che avessi ricevuto in tutta la mia vita...».
Come perdersi i concerti di un trombettista come lui, che considera Beethoven «un grande improvvisatore, e quindi un musicista di jazz»?



Nunzio Rotondo con la sua tromba durante un concerto all'Alpheus di Roma



Volete saperne di più sul suo conto? Nelle righe che seguono c'è un ritratto di Rotondo
 firmato da Franco Mondini, grande batterista negli anni Cinquanta (ha suonato
a lungo con Nunzio) , poi critico musicale del quotidiano La Stampa  e scrittore.



Una vita per il jazz


Nunzio Rotondo si impose all'attenzione internazionale fin da quando partecipò, in rappresentanza dell'Italia, al "Festival del Jazz" di Parigi e con il suo concerto ottenne il trionfo tra gli applausi di un pubblico colto (e anche diffidente) che affollava la  Salle Pleyel. Di lui scrisse, in termini entusiastici, anche il critico musicale del "Figaro"  che definì Rotondo "la risposta europea al jazz di Miles Davis".
In effetti Rotondo ha da sempre trovato in Davis un punto di riferimento e gli stimoli per rintracciare  un proprio personale percorso. Percorso che lo ha portato in giro per il mondo accanto ai più  importamnti solisti europei e statunitensi (citiamone due per tutti: Dizzy Gillespie e Sonny Rollins). Anche il sommo Duke Ellington lo invitò a far parte della sua orchestra durante una tournée italiana.
Rotondo ha inventato il jazz moderno, quello dei Gillespie, dei Davis, dei Konitz, nella piccola Italia che nel dopoguerra scopriva con la musica dei “liberatori” quella ventata di libertà e di innovazione che circolava nelle aspirazioni di una nuova generazione finalmente non più sottomessa al giogo anche culturale imposto dal fascismo.
Nunzio ha fatto studi regolari e si è diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia, naturalmente a pieni voti. Ma le orchestre che, dopo la liberazione di Roma, accompagnavano le truppe americane, gli confermarono quel gusto per l’improvvisazione che tanto scandalizzava i suoi accademici docenti. Fra Nunzio e il jazz fu amore a prima vista. Un amore che dura da tutta una vita. Rotondo è musicista colto e raffinato, così raffinato da sottomettere il suo innato virtuosismo a una sorta di autocensura come solamente i grandi solisti sanno esprimere. “E’ facile suonare”, pensa il pubblico, e non sa quanto lavoro, quanto studio, quanti  sacrifici costi all’artista dare l’impressione di stare eseguendo “con facilità” un passaggio, una frase che invece sono di una complessità inimmaginabile.
Al musicista grande corrisponde, in Nunzio, un uomo dal volto cordiale, dai sentimenti caldi, autentici. Le sue trasmissioni radiofoniche, nelle quali alternava alla musica lunghi e intelligenti monologhi colloquiali con il suo pubblico, erano seguite (anni Ottanta) anche dal presidente “partigiano” Sandro Pertini. Nacque un’amicizia epistolare, poi finalmente Nunzio conobbe di persona il grande vecchio.
Quando racconta di Pertini si commuove: “Ma sapete che significa sentirsi elogiati (non dico ammirati) da un uomo di quel calibro, di quella cultura? Pertini era un uomo cordiale, profondamente gentile, aggiornato su tutto. Tra i suoi hobby c’era anche il football (ricordate il suo entusiasmo durante i campionati del mondo?) e infine il jazz, che forse aveva ascoltato quando negli anni della Resistenza seguiva le trasmissioni di Radio Londra, il colonnello Stevens, il premier Winston Churchill e talvolta l’orchestra di Glenn Miller”.
La storia di Nunzio Rotondo si può ridurre, mi si conceda il luogo comune, in una frase, la solita ma la più efficace: “una vita per il jazz”. In realtà è proprio Rotondo che ha dato un indirizzo a tutto il jazz italiano dagli anni Cinquanta in poi. Decine di solisti, non solamente trombettisti, hanno tratto insegnamento da lui, cercando di imitarlo nel fraseggio, nel suono, nello stile. Qualcuno c’è quasi riuscito e ha fatto strada. Ma nessuno raggiungerà la sua classe inimitabile, nessuno riuscirà mai a riproporre quella vena poetica e lirica che fanno dello “stile Nunzio Rotondo” qualcosa di unico e irripetibile.