Si chiama Rim Banna, ha 32 anni, vive a Nazareth ed è la più intensa, dolce e coinvolgente vocalist palestinese. Compone le sue canzoni sui versi di grandi poeti del suo paese e canta con raffinata musicalità la vita, i problemi, i sentimenti e i desideri della sua gente. Tempo fa ha dato a Roma un concerto sullo stesso palco degli Esta, la più celebre pop band israeliana, e alla fine della serata ci si aspettava che i due protagonisti si unissero per il finale, ma non è successo. "Che senso avrebbe fare una cosa del genere all'estero quando nel mio paese non posso farla? Io devo essere la voce del mio popolo, una voce forte e sincera", sorride Rim.


 


«Sono una terrorista senza bombe

e ho un'arma sola: la mia musica»
 

di FABRIZIO ZAMPA


Rim Banna è la più famosa vocalist palestinese, ha al suo attivo sette album, ha dato concerti in Portogallo, Norvegia, Italia, Russia, Romania, Tunisia, Cecoslovacchia, Egitto, Marocco, e nelle sue canzoni fonde le grandi tradizioni della musica araba con inflessioni e ritmi del pop e del rock, usando come testi per i suoi brani (che compone insieme al marito, il chitarrista Leonid Alexeyenko) versi di poeti palestinesi come Tawfiq Zayyad, Mamoud Darwish e Zuhaira Sabhagh. Gli Esta sono la pop-band più popolare di Israele, vendono molti dischi, hanno suonato in mezzo mondo (nel febbraio 1977 erano al Blue Note di New York, e in America hanno studiato a lungo) e fanno più o meno la stessa operazione, mescolando nel loro sound ritmi mediorientali e profumi d’occidente, e mantengono vive le loro radici musicali impastando la tradizione del loro paese con i suoni di oggi e tante altre influenze. Tra Rim e gli Esta c’è però una profonda differenza: i secondi fanno una musica quasi esclusivamente strumentale dove le parole sono quasi inesistenti (suonano benissimo e come solisti sono di prim'ordine), Rim canta in arabo canzoni piene di significati e di messaggi non tanto politici e sociali quanto profondamente umani.
Una sera del settembre di tre anni fa gli Esta e Rim si sono ritrovati insieme sullo stesso palcoscenico, quello della rassegna romana «L’altra faccia del mondo», e nelle intenzioni degli organizzatori (persone assai corrette e politicamente ben connotate, a cominciare dal cantautore Paolo Pietrangeli) l’obiettivo del loro incontro, sia pure per una sola sera, è facile da intuire: dimostrare che la musica è un linguaggio che non conosce frontiere né separazioni, avvicinare due mondi che nonostante i trattati di pace e la storica stretta di mano di cinque anni fa tra Rabin e Arafat continuano a vivere una situazione drammatica e ben lontana da quelle speranze di pace che sulla carta hanno un significato ma nella vita di tutti i giorni purtroppo ancora no.
Le due band (Rim con Leonid Alexeyenko alla chitarra e un trio di musicisti siciliani che la affiancano molto spesso: Diego Spitalieri alle tastiere, Alessandro Palachino al sax e flauto e Dario Sulis alle percussioni; gli Esta con Amir Gwirtzmann ai sax e all’armonica, Ori Binshtok alla chitarra e al bouzouki, Bentzi Gafnj al basso e Shlomo Deshet alla batteria e percussioni) hanno insomma diviso lo stesso spazio proponendo a distanza di  mezz'ora due tipi di musica diversi ma legati ai medesimi ingredienti base, cioè la tradizione musicale popolare arricchita da arrangiamenti moderni, e il loro concerto è cominciato subito dopo un dibattito intitolato «Una pace possibile?» al quale hanno partecipato un rappresentante della Croce Rossa palestinese, Joussuf Salman, e un corrispondente dall’Italia di diversi giornali israeliani, Menhaem Ganz.
Un riassunto della serata? Musicalmente eccellente, e tuttavia difficilissima da inquadrare da un punto di vista politico e sociale. Anche se non manca un precedente, ovvero il concerto a due voci dato nel luglio del 1966 a Bologna da Rim Banna e dall’israeliana Noa. «Ma la situazione di Roma - dice Rim - è stata un po’ diversa da quella di Bologna: io e Noa già ci conoscevamo, ci rispettiamo l’una con l’altra, siamo tutte e due di sinistra e lei crede fermamente nei suoi principii. Con gli Esta non ci eravamo mai incontrati, e poi, l’ho sempre sostenuto, a me non piacciono certe collaborazioni che sono più una moda che altro. Voglio dire che io non ho mai messo bombe da nessuna parte, però sono una terrorista: la mia arma è la musica, la mia missione è raccontare al mondo la vita, i problemi e i sentimenti del mio popolo. E non è così importante lavorare insieme a Roma o all’estero, palestinesi e israeliani, se prima non lo facciamo a casa nostra, dove invece non accade mai».
Così, pur avendo calcato nella stessa serata le tavole dello stesso palcoscenico, Rim e gli Esta si sono solo alternati in scena e non hanno emesso insieme neanche una nota, né si sono uniti, come speravano gli organizzatori della serata, in un finale che coronasse il loro incontro con un toccante ma in fondo forzato happy end.
La storia di Rim Banna? Da giovane era nel gruppo folcloristico nazionale palestinese, poi ha studiato al Conservatorio di Mosca, dove ha conosciuto la musica occidentale e in particolare il pop. Tornata a Nazareth ha cominciato a comporre legando le tradizioni musicali arabe con le sonorità del pop occidentale. Oltre a molte canzoni ha  scritto diverse colonne sonore per film arabi e per programmi televisivi, e ha fatto anche l'attrice. Rim ha un regolare passaporto israeliano e viaggia parecchio, ma ogni volta che lascia il suo paese deve superare una serie di ostacoli inimmaginabili: lunghe attese, mille domande, perquisizioni.
"Io vivo e lavoro a Nazareth, e nonostante le apparenze adattarsi a questa situazione non è davvero facile - racconta Rim. - La mia città è al centro di una grande vallata, eppure mi sembra di vivere in un’isola intorno alla quale Israele continua a costruire enormi condomini e centri residenziali che circondano Nazareth come se fossero le mura di una prigione. Io non mi sento prigioniera perché quella è la mia terra, però mi sento soffocata. E quindi nelle mie canzoni, che non sono politiche eppure lo sono profondamente come tutta la musica etnica, racconto la Palestina, dove oggi c’è una grande crisi politica, niente si muove, niente si evolve, tutto è congelato. Il mio popolo si sentirebbe vicino agli israeliani solo se fossimo uguali, ma se ci sediamo con loro intorno a un tavolo ci sentiamo più piccoli, e non uguali. Insomma, io credo nella pace reale, e non in quella scritta sulla carta".
Così Rim, che ha 32 anni e ne ha trascorsi sette studiando in Russia (è proprio all’università di Mosca che ha conosciuto il marito Leonid, col quale parla in russo anche se lui se la cava benissimo con l’arabo), continua il suo terrorismo a base di note e di parole. Cantando l’odissea dei prigionieri politici, il significato simbolico di città e paesi interamente distrutti, la ninna nanna di una madre che parla al bambino della sua sofferenza e del fatto che non vede i suoi parenti da quarant’anni. «La mia musica - spiega - viene dallo spirito mistico dell'Oriente, riflette il ritmo del deserto, il suono del vento che passa fra le colline, le sorgenti che sgorgano nelle valli, il profumo dei fiori della Galilea. Io cerco di muovermi fra le ombre delle antiche canzoni popolari e di farle rivivere come la nuova musica palestinese e internazionale». Fra le sue canzoni c'è anche la storia di un’anatra «che rispecchia molto il mio, il nostro modo di vivere: l’anatra vola e si sposta da una citta all’altra, ma per essere veramente felice dovrebbe essere veramente libera... e invece, mentre è in volo, in qualsiasi momento chiunque può ucciderla».
Quando abbiamo sentito il concerto e i brani che Rim Banna ha proposto insieme a un trio siciliano che l'ha già affiancata in diversi concerti europei (Diego Spitalieri alle tastiere, Alessandro Palachino ai sax e al flauto, Dario Sulis alle percussioni) ci siamo chiesti più volte il significato preciso delle parole che lei canta con una voce intensa, dolce e straordinariamente musicale, mescolando con naturalezza inflessioni classiche e profumi attuali. Ma i testi sono tutti in arabo, e purtroppo, all'estero, dei suoi album si trova solo la versione su musicassetta, nella quale i versi e tutte le altre scritte sono appunto in arabo.
Però volevamo assolutamente capire, e ci siamo salvati grazie alla pazienza di Rim nel tradurci in inglese, durante il concerto, una parte dei testi di molte canzoni. Le abbiamo fatto notare il problema della mancanza delle traduzioni nelle sue cassette, e appena tornata a casa Rim è stata così gentile da inviarci per fax la traduzione di un brano che parla dell'esilio della sua gente: s’intitola Ya Jammal e i versi sono del poeta palestinese Tawfik Zayyad. Eccolo, qui di seguito, e vale la pena di leggerlo con attenzione.
 
 

Ya Jammal
(Rim Banna, Tawfik Zayyad)

Jammal, capo della carovana di cammelli, ha reso il mio cuore infelice quando ha scelto di andarsene...

Gli ho detto: "Jammal, sii paziente"
Mi ha detto: " Ho speso tutta la pazienza che avevo"
Gli ho detto: "Jammal, qual è il tuo obiettivo?"
Mi ha detto: "Il deserto del sud"
Gli ho detto: "Cosa porti con te?"
Mi ha detto: "Essenze e miska"
Gli ho detto: "Dimmi qual è la tua malattia"
Mi ha detto: "La nostalgia di ciò che amo"
Gli ho detto: "Sei andato dal guaritore?"
Mi ha detto: "Ne ho visti novanta"
Gli ho detto: "Jammal, portami con te"
Mi ha detto: "No, quello che porto è troppo pesante"
Gli ho detto: "Jammal, io camminerò"
Mi ha detto: "No, la mia strada è troppo lunga"
Gli ho detto: "Camminerò per mille anni, viaggerò dietro i tuoi occhi"
Mi ha detto: "Mio piccione viaggiatore, la vita dell'immigrante è amara come il fiele..."
 

Jammal ha reso il mio cuore infelice quando ha scelto di andarsene. Qualsiasi cosa si sia lasciato dietro, sono lacrime che scorrono sul mio volto.
 

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