Un ricordo del Messaggero di una volta.
Ma non solo...

L'immagine che apre questa pagina è sia un invito a guardare in faccia una realtà che quasi non esiste più, sia un affettuoso ricordo del vecchio Messaggero di una volta, quello battagliero, quello che è difficile dimenticare perché a quei tempi i quotidiani avevano un ingrediente che molti giornali di oggi non hanno, l'umanità, e un altro ingrediente ancora più raro, la genialità di alcune persone. Questa fotografia (perdonate la modesta qualità: è tratta da una pessima Polaroid scattata più di vent'anni fa e faticosamente ripulita e restaurata per restituirle un aspetto simile a ciò che ritrae) è l'unica testimonianza a colori che rimane di un affresco che risale al 1975 e che riempiva un'intera parete al primo piano del palazzo del Messaggero in via del Tritone 152, a Roma.

Realizzato da Piergiorgio Maoloni, il grafico che insieme allo straordinario Pasquale Prunas ha completamente rivoluzionato l'aspetto del giornale nei primi anni Settanta, questo affresco prendeva spunto da grandi opere pittoriche del Settecento, che riecheggiava con la giusta dose di ironia, e raffigurava otto persone che hanno vissuto con particolare intensità il periodo di maggior crescita del Messaggero in termini di libertà, di modernità, di orientamento democratico e di estrema attenzione al futuro e agli indispensabili cambiamenti che il costume italiano avrebbe dovuto affrontare.

Non dimenticate che erano i primi anni Settanta: i primi anni di piombo, gli anni nei quali, fra un'attentato e l'altro, pochi sognatori cercavano di tradurre in realtà alcuni input positivi ereditati dall'ultima parte del decennio precedente, e si battevano per l'affermazione dei cosiddetti "diritti civili". Erano i tempi del referemdum sul divorzio, di decine di giorni di sciopero dei redattori del Messaggero perché il giornale era stato venduto a un editore che non offriva la minima garanzia di indipendenza né di rispetto dei principii base della democrazia.

Le otto persone sono quelle che, insieme a molti altri loro colleghi, hanno combattuto con energìa e fatica per far sì che il giornale conquistasse alcuni elementi fondamentali: la libertà, l'indipendenza, l'autonomia dei propri redattori. Sono, da sinistra: Piergiorgio Maoloni, Fulvio Stinchelli, Pasquale Prunas, Claudio Ronchetti, Fabrizio Zampa, Ruggero Guarini, Lucio Manisco e Giulio Bergami. Nei confronti di due di queste persone il nostro ricordo fa presto a diventare nostalgia e commozione: purtroppo Prunas e Ronchetti ci hanno lasciato da diversi anni, anche se, per usare un trito luogo comune, è davvero come se fossero ancora fra noi, o almeno fra quel che è rimasto di noi.

Questa pagina esiste per tre ragioni principali: il sincero affetto che il titolare di questo sito nutre per i suoi amici e per le cose per cui tutti insieme hanno combattuto, il desiderio di riproporre la loro immagine e le loro idee a molti lettori che difficilmente dimenticheranno quegli anni, e infine la voglia di far rivivere un oggetto che sfortunatamente non esiste più, cioè l'affresco medesimo.

Durante una delle tante ristrutturazioni del palazzo di via del Tritone, parecchi anni fa e naturalmente d'estate, quando molti di noi erano in ferie, la parete sulla quale spiccava l'affresco è stata infatti sbrigativamente demolita, e il dipinto è diventato un cumulo di macerie finite in chissà quale discarica.

Finite un po' come molti dei sentimenti che imperavano in quegli anni fra chi guardava al futuro oltre che al presente: sentimenti dei quali, in questi tempi apparentemente felici ma in realtà assai difficili, sono rimaste scarse tracce. Di quell'affresco resta una fotografia, insieme a una grande voglia di ricominciare a battersi per qualcosa per cui valga la pena scaldarsi: non la maggior parte dei giornali usa e getta che vanno di moda oggi, per esempio, ma giornali veri, giornali con notizie vere e non sterili polemiche, giornali uno diverso dall'altro e non tutti uguali e clonati.

Giornali che ogni mattino, per usare una bella frase di Pasquale Prunas, vi raccontino davvero e di nuovo, come si usava una volta,

che mondo fa




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